“E un astronomo disse: Maestro, parlaci del Tempo.
E lui rispose:
Vorreste misurare il tempo, l’incommensurabile e l’immenso,
Vorreste regolare il vostro comportamento e dirigere il corso del vostro spirito secondo le ore e le stagioni.
Del tempo vorreste fare un fiume per sostare presso la sua riva
e vederlo fluire.
Ma l’eterno che è in voi sa che la vita è senza tempo
E sa che l’oggi non è che il ricordo di ieri, e il domani il sogno di oggi.”

Così il poeta libanese Kahlil Gibran risponde, attraverso la voce profonda e suadente della sua creatura letteraria, il Profeta, a chi gli chiede che cosa sia il Tempo.
Da sempre l’uomo si interroga su questa entità che ci sfugge e che non riusciamo a controllare, il tempo della fretta e quello della noia, il tempo che a volte scarseggia e che vorremmo fermare, il tempo che a volte, non passa mai e si dilata interminabilmente, costringendoci a guardare increduli un orologio dalle lancette apparentemente immobili.
“So benissimo cosa sia il tempo, se non me lo chiedono, ma se me lo chiedono non lo so più!” affermava ironicamente Sant’Agostino, che, già tra il IV e V secolo, dava una definizione abbastanza condivisibile: il tempo è una percezione propria del soggetto che, pur vivendo nel presente, ha coscienza del passato, grazie alla memoria, e del futuro, in virtù dell’attesa.
Da sempre infatti l’uomo tenta di definire e spiegare il tempo: è un problema che attraversa tutta la storia della filosofia e della scienza, enigmatico e inafferrabile. Del resto l’uomo appartiene al tempo, inesorabilmente: veniamo al mondo, trascorriamo in esso un tempo infinitesimo, che a noi sembra lunghissimo, scompariamo. Vivere e divenire sono tutt’uno. Ma è anche vero che il tempo ci appartiene, ne disponiamo come un dono, possiamo sfruttarlo o dissiparlo, persino... ingannarlo! Anche se oggi viviamo in un mondo sempre più frenetico e abbiamo la sensazione che il tempo ci sfugga dalle mani, che non basti mai: fastidioso sintomo di quella che è forse una malattia, l’inizio di un’alterazione del nostro rapporto col tempo.
I Greci risolvevano il problema affondandolo nell’oscurità primigenia di una truce e immaginifica leggenda: Crono, il Tempo, evira suo padre Urano, divenendo così il capo degli dei e genera a sua volta altri dei. “Mano a mano però che ciascuno scendeva dal sacro utero e veniva posato sulle ginocchia della madre, tutti li ingoiava Crono”: aveva infatti saputo che sarebbe stato sottomesso da uno dei suoi figli e infatti Zeus, salvato con uno stratagemma dalla madre Rea, sconfisse Crono e lo relegò su di una remota isola: così ci racconta Esiodo nella sua Teogonia.
Da allora i filosofi si interrogano sulla misteriosa natura del tempo, tentando invano di racchiudere in una definizione esauriente ed espressiva un concetto estremamente inafferrabile. Per chiarirci le idee possiamo individuare tre grandi filoni: in prospettiva cosmologica il tempo è origine del mondo ed elemento costitutivo dello stesso; in prospettiva filosofica è una forma del pensiero: esiste solo il presente, mentre passato e futuro, tempo dei ricordi e delle aspettative sono pure costruzioni astratte del soggetto. “Una volta passati, sogni e ricordi sono la stessa cosa” afferma nel semplice linguaggio dei fumetti Eta Beta, al termine di una delle sue avventure.
In prospettiva religiosa, infine, il tempo è simbolo della vita umana, limitata, subordinata a gioie e dolori, ma percorso verso l’eternità.
La predicazione cristiana instilla profondamente nel nostro animo la sensazione che viviamo per un fine ultimo, ma anche ideologie estremamente laiche, come il marxismo, pensano che la storia rechi dentro di sé l’idea di un destino finale, il superamento della lotta di classe e l’avvento di una società socialista prima e comunista poi. Tutto ciò ha influenzato intensamente il nostro modo di pensare, ci diamo da fare per occupare tutti i momenti della nostra vita, anche quelli del tempo libero, come se fossero qualcosa di prezioso, nella convinzione che alla fine ci verrà chiesto conto, magari in senso punitivo, di come abbiamo impiegato il nostro tempo.
In epoca moderna le cose si complicano: il filosofo tedesco Immanuel Kant  rivoluziona il modo di pensare sostenendo che al centro della filosofia non si deve porre l’oggetto ma il soggetto. Il tempo, come altre categorie,  non è altro che “una forma a priori della nostra sensibilità”, tutto ciò che esiste nel mondo fisico viene percepito e ordinato attraverso strutture che il soggetto possiede già nella propria mente. Einstein, con la sua celebre Teoria della relatività, ci complica ulteriormente le idee: il tempo non è assoluto ma dipende dalla velocità e dal riferimento che si prende in considerazione, è più corretto inoltre parlare di spazio-tempo poiché l’aspetto cronologico e spaziale sono correlati e modificati dai campi gravitazionali.
In questi ultimi anni anche  la fisiologia e la medicina portano il loro contributo, soprattutto per quanto riguarda la percezione del tempo. Il neurologo Oliver Sacks nota che un certo numero di pazienti in cura per l’emicrania perdono il senso della continuità visiva e vedono invece una tremolante serie di inquadrature fisse. Si convince quindi che la percezione visiva è simile alla cinematografia: registra brevi istantanee e le fonde quindi, in condizioni normali, nel movimento e nella continuità, cosa che l’attacco di emicrania impedisce, così come alcuni tipi di intossicazioni e l’uso di sostanze allucinogene.
Anche Joseph Zihl, di Monaco, osserva in una paziente, con un danno alle aree specializzate della corteccia, la perdita della capacità di avvertire il movimento: essa vede unicamente immagini congelate. Il fenomeno è spiegabile a livello fisiologico con l’interazione dinamica tra gruppi di neuroni: la coscienza del trascorre del tempo emergerebbe dall’enorme numero di interazioni tra i sistemi cerebrali che presiedono alla memoria e quelli che presiedono alla percezione.

Parallelamente alle disquisizioni della filosofia e della fisica, che tentano di circoscrivere in maniera sempre più esatta l’inafferrabile concetto del tempo, attingendo a volte finezze e profondità di pensiero che sfuggono spesso alla mentalità comune, si diffonde in epoca moderna il malessere del nichilismo. Secondo Nietzsche è inutile plasmare l’uomo in base a pseudovalori morali che troverebbero il loro compimento alla fine del tempo, impedendogli così di cogliere la vera essenza del tempo, che è l’attimo. “Fermati attimo, perché sei bello!” grida il Faust di Goethe, riecheggiando, a distanza di secoli, il monito di Orazio:
“Dum loquimur, fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero. Mentre ci attardiamo a parlare, sarà fuggito il tempo malevolo, invidioso delle nostre gioie: cogli l’attimo, confida meno che puoi nel domani”.
Analogamente per Sartre non è il tempo che delimita il nostro essere ma il nulla: qualsiasi nostro gesto o atto o decisione sono gratuiti, non hanno valore.
Il senso della precarietà della vita e della sua inutilità è un’angoscia che prende alla gola e già il Machbet shakespeariano lo gridava disperatamente:

Domani, e domani e domani...
striscia a piccoli passi, di giorno in
giorno, fino all'ultima sillaba del
tempo prescritto; e tutti i nostri
ieri hanno illuminato a dei pazzi il
cammino verso la polverosa morte.
Spegniti, spegniti, breve candela!
La vita non è che un'ombra in cammino;
un povero attore, che s'agita e si
pavoneggia per un'ora sul palcoscenico
e del quale poi non si sa più nulla.
E' un racconto narrato da un idiota,
pieno di strepito e di furore, e senza
alcun significato.
 

Ma sono posizioni estreme: per noi tutti il tempo è la cosa più intima, più personale. Il tempo è la sostanza di cui siamo fatti, “Il tempo è il fiume che mi trasporta ma io stesso sono fiume”, dice Jorge Luis Borge. Tutto quello che facciamo ha il carattere della temporalità, anche se stiamo fermi o se dormiamo avviene sempre un trapasso temporale. Nonostante questo, nonostante sia così connaturato in noi, non riusciamo ad afferrarlo, ad intuirlo in modo trasparente: ecco perché abbiamo bisogno di rappresentarlo, di vederlo, con simboli o figure o strumenti. Per poterlo afferrare cerchiamo di dargli delle regole, di disporlo secondo ritmi e misure, anche se in tal modo costruiamo delle astrazioni. L’orologio, questo ruotare di lancette e di numeri sempre uguali, non ci dice nulla del tempo reale, dei nostri stati di coscienza, del nostro modo di vivere il tempo. Se io dico “il tempo è volato via” l’ho vissuto diversamente da qualcuno per cui il tempo non passava mai: “ sei lungo come un’ora di notte” dice la saggezza popolare.

La cognizione di misurabilità del tempo nacque presto nell’uomo. L’angoscia che scaturiva dalla nascita e dalla morte, l’inesorabilità del destino umano, la crescita. la maturità, la vecchiaia che si consumavano nel tempo, costituirono la prima sequenza temporale, una sorta di orologio biologico dove le lancette erano la vita stessa. Poi il sorgere del sole, della luna, l’avvicendarsi delle stagioni, gli eventi atmosferici vissuti spesso con terrore divennero pian piano familiari e fu proprio il sole a suggerire il primo strumento di misura: osservando e riflettendo, già l’uomo del neolitico apprese che ponendosi con le spalle al sole proiettava sul terreno un’ombra, un’ombra che si poteva misurare con i piedi e segnandola con i sassi, un’ombra che si allungava man mano che ci si avvicinava al tramonto. Dato fondamentale per un cacciatore, che doveva far ritorno al suo rifugio prima del calar del sole per far sì che le tenebre non lo trasformassero a sua volta in preda indifesa. Fu questo il primo segnatempo, una specie di gnomone umano. Da allora lo gnomone, l’asta che proiettava la sua ombra sul terreno indicando il succedersi delle ore, fu perfezionato e attraversò i millenni: la sua versione più semplice è ancora oggi in uso nel Tibet, un bastone a otto facce con varie iscrizioni. I primi costruttori di gnomoni evoluti furono, secondo Erodoto, i Caldei, ma ne fecero uso anche i Sumeri, gli Egiziani, i Cinesi. Nelle commedie di Aristofane si può apprendere che il tempo del pasto era giunto quando si potevano misurare tre piedi di ombra. In una commedia di Menandro viene dato un appuntamento ad alcuni convitati “quando l’ombra sarà di dodici piedi”.

Durante l’impero romano si fanno veramente le cose in grande.
L'obelisco collocato in piazza Montecitorio a Roma era stato realiz-zato all'epoca del farao-ne Psammetico ed era collocato originaria- mente nella città di Heliopolis in Egitto. Fu portato a Roma nel 10 d.C. da Augusto e collocato come gnomo-ne dell'Orologio realizzato in Campo Marzio. La grande meridiana era posta al centro di una superficie di 160 x 75 metri, costituita da lastre di travertino, sulla quale era disegnato un quadrante con lettere bronzee, con l'indicazione delle ore, dei mesi, delle stagioni e dei segni zodiacali. Oltre a svolgere la sua funzione di orologio solare, l'obelisco era orientato in modo tale da proiettare la sua ombra sulla non lontana Ara pacis il 23 settembre, dies natalis dell'imperatore! Ma non era il primo esempio di vanità imperiale: nel tempio di Abu Simbel, in Egitto, il sole entra solo due volte l’anno e illumina la statua di Ramses II  nel giorno della sua nascita e in quello della sua incoronazione.

Una variante della meridiana è un piccolo foro praticato  sul tetto di un edificio in una posizione tale da lasciare passare  i raggi del sole esattamente a mezzogiorno in modo che formino una macchia luminosa sul pavimento all'interno dell'edificio. Un interessante esempio di questo tipo di orologio, progettato e realizzato nel 1655 dall’astronomo Gian Domenico Cassini, si trova nella Basilica di S. Petronio a Bologna dove, incastonata nel pavimento, si può vedere una lunga barra bronzea che ha la funzione di visualizzzare la linea meridiana. A mezzogiorno, quando il Sole culmina, i suoi raggi passano attraverso il foro praticato sul tetto, entrano nella chiesa, e vanno a cadere sulla barra bronzea in un punto diverso a seconda dei giorni dell'anno.

La meridiana ebbe una tale diffusione che ancora possiamo ammirarne diverse fogge ed esempi sui muri di chiese e palazzi, accompagnate in genere da brevi motti o aforismi che sottolineano il funzionamento solare o ammaestrano sulla natura e l’uso del tempo. “Ombra fugace dalla luce uscita, misuro al mondo il sole, all’uom la vita” recita una. “L’ora trascorre lenta per i pigri, veloce per chi lavora” annota un’altra. Mentre un’altra ancora ammonisce: “L’ora fugge, non indugiare”. Conscia dei propri limiti, una ci avverte: “Sine sole nihil sum. Senza il sole nulla sono”. E così via.

 

Da allora si sono succedute forme sempre più perfezionate di strumenti per la misurazione del tempo: orologi ad acqua, meccanici (con bilanciere o a pendolo), orologi elettrici, orologi atomici. Mentre giorni, stagioni, fasi lunari erano forme di misurazione sufficienti per le esigenze di comunità di nomadi o di agricoltori, sembra che oggi il nostro stile di vita non possa fare a meno di una misurazione estremamente precisa del tempo. Scienze, trasporti, comunicazioni, industrie, tecnologie, tutto dipende dall’ora esatta.
Il primo problema che si presentò fu quello di avere un orologio che segnasse il tempo, contrariamente a quanto facevano gli orologi solari, anche quando era notte o il cielo era nuvoloso.

La clessidra, parola di origine greca che significa “ladra d’acqua”, fu una prima soluzione: uno strumento molto semplice che misurava il tempo facendo sgocciolare l’acqua attraverso un foro da un contenitore ad un altro a cui si aggiunse, nel Trecento, la versione  a sabbia. La vera rivoluzione della clessidra fu una nuova valutazione del tempo: infatti mentre gli orologi solari indicavano un preciso momento, la clessidra, che portava incise anche delle tacche di riferimento, mostrava chiaramente gli intervalli di tempo, cioè poteva misurare la durata di un determinato fenomeno o di un evento. Era nata quindi l’effettiva misurazione del tempo.

Alla fine del Tredicesimo secolo nacque il primo orologio meccanico, un marchingegno piuttosto complicato e ingombrante al cui movimento provvedeva un peso legato ad una corda avvolta intorno ad un asse orizzontale che veniva quindi costretto a girare su se stesso. Quest’ asse rotante, a sua volta, metteva in azione una serie di ingranaggi i quali erano collegati alla lancetta che indicava le ore o a dei meccanismi che suonavano ad intervalli di tempo regolari.
Nel 1581, all'età di soli 17 anni, Galileo Galilei scoprì che l'oscillazione naturale di un pendolo avviene ad intervalli rego-lari di tempo, e ciò indipenden-temente dall'am-piezza dell'oscil-lazione stessa. In al¬tre parole, il tempo impiegato dal pendolo per andare e tornare in un viaggio di oscillazione completa è sem-pre lo stesso, tanto per l’oscil-lazione molto ampia quanto per quella poco ampia, cosa non affatto ovvia perché l'intuizione ci porterebbe a credere che le oscillazioni ampie debbano durare di più di quelle strette. Come sappiamo, si racconta che lo scienziato pisano arrivò a questa scoperta osservando una lampada oscillare, sotto la spinta di una corrente d'aria, nella cattedrale della sua città, mentre assisteva ad una funzione religiosa. Si dice anche che per controllare l'isocronismo delle oscillazioni della lampada il giovane Galilei, a quel tempo studente di medicina, si sia avvalso delle pulsazioni del proprio polso. Il «pendolo» (dal latino pendulus, "che oscilla") sarebbe stato quin¬di un orologio perfetto, ma Galilei non riuscì a trasferire questa sua scoperta nel meccanismo di un orologio. In realtà egli ci provò, ma solo alla fine della sua vita, quando, ormai vecchio e sfiduciato, era anche diventato quasi cieco. Il primo orologio a pendolo verrà cos¬truito invece dal fisico e astronomo olandese Christiaan Huygens, intorno alla metà del XVII secolo. Galilei era morto da pochi anni.
Il pendolo ovviamente non oscillava per un tempo infinito, ma a causa dell'attrito dell'aria e di alcuni contatti meccanici che non potevano essere evitati, rallentava la sua corsa e alla fine si fermava. Occorreva allora dargli ogni tanto una piccola spinta per mantenerne le oscillazioni. A ciò provvedeva un motore a peso, come si può vedere ancora oggi in molti orologi a pendolo delle nostre case, oppure un motore di altro tipo, ad esempio a molla o elettrico, come è nei modelli più moderni e sofisticati. L'orologio a pendolo si dimostrò dieci volte più preciso del precedente orologio meccanico.
Nonostante la sua aria tranquilla il pendolo, tuttavia, non è im¬perturbabile: se non è sistemato in posizione perfettamente verticale l'oscillazione si altera e il meccanismo si può anche fermare. Nemmeno il suo ritmo è così costante come immaginava Galilei: impiega infatti un po' più di tempo nelle oscillazioni lunghe e un po' meno in quel¬le corte e questa impercettibile variazione di velocità, alla lunga, si fa sentire. Sarà il fisico inglese Robert Hooke, nel Seicento, a trovare la soluzione inventando il bilanciere a spirale, ossia una molla avvolta a spirale la cui funzione era uguale a quella del pendolo, però il suo ritmo non veniva modificato dalle variazioni di ampiezza né dai cambiamenti di posizione: esso funzionava infatti anche in posizione orizzontale e grazie a questa nuova scoperta fu possibile realizzare, costruendo un bilanciere in forma molto ridotta, il primo esemplare di orologio da tasca. In realtà qualche problema questo tipo di orologio ancora lo creava, perché la forza trasmessa dalla molla che forniva l’energia per il movimento era irregolare: massima quando era completamente carica e via via minore a mano a mano che si allentava. Per ovviare a questo inconveniente fu escogitato un complicato congegno con una corda metallica che si avvol¬geva intorno al cilindro dove era alloggiata la molla: da questo trae origine la nota espressione "è giù di corda" quando si allude a qualcuno che è senza energia.
All’inizio del ventesimo secolo si potrà finalmente mettere l’orologio al polso.
La successiva innovazione è un vero mutamento radicale dal punto di vista tecnologico: gli orologi al quarzo, i quali sfruttano una particolare proprietà di questo minerale, la «piezoelettricità», scoperta nel 1880 dal chimico francese Pierre Curie. Egli notò che quando un cristallo di quarzo subisce una pressione lungo un determinato asse  (piezo è una parola greca che significa “comprimere”), emette una debole corrente elettrica.
Inversamente, se un cristallo di quarzo viene sottoposto all'azione di un campo elettrico, prodotto ad esempio da una piccola pila, il cristallo si mette a vibrare con una frequenza molto precisa e stabile nel tempo. Una serie di circuiti divisori dimezza quindi la frequenza iniziale fino ad un impulso al secondo e diversi contatori in sequenza conteggiano secondi, minuti ed ore.
Il primo orologio al quarzo fu costruito nel 1927 da due tecnici inglesi di nome Morrison e  Horton e si dimostrò subito un meccanismo quasi perfetto in grado di garantire una precisione di 1/1.000 di secondo al giorno. Esso sostituirà gradualmente gli orologi meccanici e raggiungerà ben presto una perfezione di funzionamento tale da consentire all'astronomo inglese Spencer Jones di verificare che il tempo di rotazione della Terra intorno al proprio asse non è poi così preciso come si era sempre ritenuto che fosse: una piccola rivalsa nei confronti di quei movimenti astronomici dei quali si era servito l’uomo per misurare il tempo.
Ma il progresso sembra inarrestabile: nel 1955 in Inghilterra, presso il Laboratorio di Fisica Internazionale, viene realizzato il primo orologio atomico. In esso il tempo è misurato tramite la frequenza di risonanza di un atomo di  Cesio 133, che in un secondo produce 9.192.631.770 oscillazioni. Nel 1967 il secondo dell'orologio atomico è stato riconosciuto quale unità del tempo internazionale, sostituendosi così all'unità precedente, il secondo basato sulla rotazione terrestre. Un buon orologio atomico può misurare il tempo con una imprecisione di un secondo in 15 milioni di anni, ma come si sa, la ricerca non ha limiti ed è attualmente finalizzata a migliorare anche tale incredibile precisione!
Sempre negli anni '60 furono messe a punto le tecniche opportune per uniformare tutti gli orologi del mondo e fu così possibile stabilire una scala temporale atomica unica. Un vastissimo numero di orologi atomici sparsi nel mondo (oggi sono circa 350, per lo più orologi al Cesio) trasmisero i loro dati al Bureau International de l'Heure , dove viene calcolato il Tempo Atomico Internazionale.
 

Sembra dunque che abbiamo finalmente dominato il tempo, che lo abbiamo ingabbiato nelle nostre reti supertecnologiche, spezzettandolo in particelle temporali sempre più raffinate, ma lo possediamo veramente? O non è forse vero che la sua vera natura, il suo significato, continua invece a sfuggirci, come è sempre stato?  Dopo tanti secoli suona ancora beffarda, e ci mette in crisi, la provocatoria domanda di Sant’Agostino: “cosa faceva Dio prima della creazione del mondo?

Thomas Stearns Eliot, Assassinio nella cattedrale:

Noi non sappiamo molto del futuro
o solo questo: di generazione in generazione
è un ripetersi di cose sempre uguali.
Gli uomini non imparano molto
dall’esperienza degli altri.
Ma nella vita di un uomo
non torna mai lo stesso tempo. Spezzare
la corda, cambiar pelle. Solo il pazzo,
prigioniero di una follia, può pensare
di far girare la ruota sulla quale egli gira.

Oltre ai filosofi, ai fisici, agli astronomi, anche gli artisti sono stati affascinati dall’inafferrabilità, dalla natura misteriosa del tempo. C’è addirittura un’arte totalmente calata nella dimensione temporale, ed è la musica, che si alimenta di suoni, di timbri, di altezze e frequenze, ma incasellando tutto in un rigoroso sistema di suddivisioni temporali. Anche il rapporto tra il ritmo della musica, il tempo della vita e la cultura, appare a volte molto stretto: l’occidente e la sua idea di progresso ben si accordano al correre del ritmo musicale, ora accelerato ora rallentato, e agli sviluppi armonici, mentre l’oriente ha invece melodie cicliche e ripetitive, suoni più indeterminati, in cui nulla veramente nasce e nulla sembra mai morire.
Anche la poesia, che nasce in modo inscindibile dalla musica, si alimenta per secoli di ritmi e metri, e anche quando tenta di liberarsene, di vivere di vita propria, slegata dagli impacci di sillabe e rime, non riesce a fare a meno di una certa musicalità, di parole apparentemente libere ma dette con ritmi più profondi e inafferrabili, ma non per questo meno percepibili da chi ascolta. E la tirannia del tempo, anche se scacciata dalla tecnica compositiva,  torna comunque e continuamente come tema dell’ispirazione poetica:

”Ognuno sta solo sul cuor della terra  
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.”

annota con lucida disperazione Quasimodo.


E’ vero, non siamo padroni del tempo ed esso, prima o poi, ci annulla, ma proprio la poesia, e l’arte in genere, possono consentirci di lasciare una traccia, dare un senso alla vita, comunicare attraverso i secoli con chi leggerà.

“Chi sei tu, lettore, che leggi
le mie poesie tra un centinaio d’anni?”
(è il poeta indiano Rabindranat Tagore che parla)
“Non posso inviarti un solo fiore
dalla ricchezza di questa primavera,
una sola striatura d'oro
dalle nubi lontane.
Apri le porte e guardati intorno.
Dal tuo giardino in fiore cogli
i ricordi fragranti dei fiori svaniti
un centinaio d'anni fa.
Nella gioia del tuo cuore possa tu sentire
la gioia vivente che cantò
in un mattino di primavera,
mandando la sua voce lieta
attraverso un centinaio d'anni."

Il maestro dell’Impressionismo, Edouard Monet, ha voluto  fermare non solamente attimi e visioni da con-segnare al futuro, ma lo scorrere stesso del tempo, la bellezza che non brilla per un attimo ma trascolora nel fluire della luce e di istanti che ineso-rabilmente sfuggono.
Nel febbraio 1892 Monet affitta per la prima volta una camera che dà sulla facciata ovest della cattedrale di Rouen, gioiello dell’architettura francese medioevale, riccamente decorato in stile gotico. Nel corso di tre anni, da febbraio ad aprile, Monet dipinge la cattedrale nei diversi momenti del giorno, raffigurandola sotto i raggi del sole mattutino, nella nebbia, nelle diverse sfumature cromati-che che la facciata assume durante la giornata, a volte per pochi attimi soltanto, tentando di cogliere l’attimo prima del suo trascorrere, la luce prima del suo cambiamento. La lotta contro il tempo assume caratteri frenetici e quasi deliranti: nelle giornate in cui le nuvole corrono in cielo e la luce cambia rapidamente colore e intensità, lavora contemporaneamente su quattro tele!
Nulla più di questo artista rappresenta il nostro strano rapporto di amore-odio per l’attimo fuggente. Amore, quando (per un attimo!) ci fa toccare quel limite della coscienza  che chiamiamo felicità, o verità. Odio quando non riusciamo a fermarlo per gustare appieno la sua malia, quando non si fa afferrare e manda a monte i nostri progetti.
D’altra parte la continuità è un’illusione  e la nostra vita non è che una serie di attimi.

 

Dallo spettacolo “Per un attimo”, di Vania Pucci e Margherita Hack:

Mi basta un attimo…
solo uno… per raccontarti una storia Ma…
Quanto è lungo un attimo?
Quanto è largo un attimo?
Quanto pesa un attimo?
E’ veloce come un battito di ciglia
E’ lungo quanto un salto
E’ largo quanto una parola che riesco a dire
E’ leggero come un soffio
E’ pesante quanto un sasso
E’ necessario un misura attimi…
Cosa succede in un attimo?
In un attimo va via il sole
In un attimo arriva la notte
In un attimo cade una stella
In un attimo spunta un fiore
In un attimo cade una goccia
In un attimo arriva la pioggia
In un attimo si accende la luce e si spegne
In un attimo mi addormento e sogno
Ma in tanti attimi è cambiato il mondo intorno a me...

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Kahlil Gibran

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Francisco Goya, Saturno divora i suoi figli,

Madrid, Museo del Prado

Testo
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Antonio de Pereda, Vanitas

Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie, Vienna

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Raffaello Sanzio, Aristotele e Platone, 

particolare de "La scuola di Atene", Stanze Vaticane,

Città del Vaticano

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Sant'Agostino, Cappellone di San Nicola, Tolentino

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Oliver Sacks

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William Shakespeare

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Obelisco di Piazza Montecitorio, Roma

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Meridiana della Chiesa di San Siro, Soresina (Cremona)

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Meridiana, Cortina

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Clessidra

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Due orologi a Spoleto

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Meccanismo di vecchio orologio

Chiesa di San Siro, Soresina, Cremona

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Chiesa di San Petronio, Bologna

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Giandomenico Cassini, Meridiana, pavimento 

della Basilica di San Petronio

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Justus Sustermans, Galileo Galilei, Galleria degli Uffizi, Firenze

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Pierre Curie

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Orologio a pendolo

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Thomas Eliot

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Rabindranat Tagore

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Edouard Monet

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E. Monet, Cattedrale di Rouan (sole)

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E. Monet, Cattedrale di Rouan (tempo grigio)

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Salvador Dalì, La persistenza della memoria,

Museo di Arte moderna, New York